Direttiva Europea sul Diritto D’autore
09.09.2016

Direttiva Europea sul Diritto D’autore

Un’opportunità di modernizzazione evitando pericolose avventure speculative

Combattere gli abusi, le contraffazioni e le elusioni è, come noto, un’impresa ardua; difendere un bene immateriale spesso è proibitivo. Quando poi si tratta del diritto d’autore, che oltre ad essere un bene immateriale ha un’intrinseca e naturale vocazione mondiale, l’impresa richiede la messa in campo di strumenti e forze di notevole portata.

Il diritto d’autore è il riconoscimento morale ed economico per i creativi, affinché possano continuare a produrre opere in una logica di eterna evoluzione della cultura dei popoli, nonché per l’industria culturale, la cui crescente rilevanza in termini di crescita di PIL è ormai pacificamente riconosciuta, affinché provveda alla distribuzione delle opere facendole conoscere in maniera più diffusa possibile.

Come sarebbe stata la vita di ognuno di noi se non fosse stata costantemente accompagnata ed arricchita dalla musica, dal teatro, dal cinema e dalle arti figurative? Certamente più arida, sicuramente più cupa. E perché l’evoluzione artistica continui è necessario garantire a chi crea il giusto compenso atteso che il più delle volte l’autore non è anche l’esecutore delle proprie opere e quindi basa la propria attesa di reddito esclusivamente sull’ingegno la fantasia e la creatività e sul relativo gradimento presso gli utilizzatori; apprezzamento che, con alcune eccezioni, non ha la stessa durata della vita biologica del singolo autore. 

L’universalità della questione della tutela del diritto d’autore è provata dalla numerosità dei trattati internazionali in materia, a partire dalla convenzione di Berna, datata 1886, sino al TRIPS, sottoscritto a Marrakech nel 1994 per gli aspetti concernenti il commercio mondiale; ciò dimostra il “peso” del diritto d’autore per le economie dei diversi Paesi, nonché la pluralità di organismi internazionali che si occupano costantemente della questione. Non vi è altresì dubbio che gli strumenti di tutela dell’opera di ingegno siano fortemente legati allo sviluppo delle tecnologie; all’epoca del trattato di Berna, il “grosso” dell’attività spettacolistica si svolgeva nei teatri e nei circoli; l’avvento di nuovi canali ha portato a periodiche rivoluzioni che hanno sempre più diffuso le forme di espressione artistica e le hanno rese fruibili ad una platea sempre più vasta.

Dal grammofono al mangiadischi, dalla radio pubblica al proliferare di emittenti radio e televisive, dal disco in vinile al CD si è sempre andati verso un sistema di maggiore diffusione delle espressioni artistiche sino ad arrivare ad internet, che forse rappresenta la rivoluzione più radicale anche nella circolazione dell’opera di ingegno. Se da una parte internet sembra realizzare l’antica utopia della globalizzazione della cultura, per cui ciascuno è in grado di accedere all’espressione artistica di popoli lontani e poco conosciuti, dall’altra ha creato rilevanti problemi di natura legale anche nell’efficacia della tutela dei diritti. 

L’Unione Europea si è posta il problema, ma forse sarebbe tempo di affrontarla a livello ancor più internazionale con una “rinnovata convenzione di Berna” maggiormente allargata; sta di fatto che dopo una lunga fase di elaborazione è stata adottata la direttiva 214/26/UE (altrimenti definita direttiva Barnier) che ha enunciato che le licenze e la tutela delle opere presenti in internet non possono essere ricondotte nei limitati confini nazionali,  ha stabilito la più ampia facoltà da parte dei detentori di diritti di rivolgersi ad una qualsiasi società di collecting per affidare il proprio mandato ed è anche entrata nel merito delle regole di funzionamento delle singole società di collecting. Senonché l’osservazione di quanto sino ad oggi si è realizzato a livello di gestione evidenzia infatti, forti limiti e criticità. Le società di gestione collettiva dei diritti d’autore si rivolgono ad una vasta base associativa composta spesso da molte decine di migliaia di soggetti caratterizzati da una disomogeneità estrema di interessi e aspettative; tale peculiarità ha incentivato governance spesso autoreferenziali e non avvezze a rendere conto ai danti causa del proprio agire; si è in presenza di un fenomeno di rilevante portata al quale far fronte con fermezza con regole certe e trasparenti. 

La risposta della UE è stata estremamente articolata: ha fissato precisi limiti di funzionamento, ha esaltato i compiti e i poteri dell’Assemblea, ha fissato regole nella gestione dei proventi, ha fissato termini precisi per la ripartizione e limitazioni circa  la messa a rendita dei diritti in disponibilità, soprattutto ha stabilito che l’agire di tali soggetti sia sottoposto a rigorose regole di trasparenza in modo che chi ha affidato il mandato possa in qualsiasi momento verificare e valutare l’adeguatezza  dell’agire dei vertici aziendali.
Proprio nel periodo in cui il Parlamento italiano è stato impegnato nell’attività di recepimento della direttiva la questione è stata affrontata con toni a volte anche troppo accesi e, forse, è stata condizionata dal desiderio di qualche azione speculativa; per quanto attiene in particolare l’articolo 180 della legge sul diritto d’autore vigente nel nostro Paese,  il confronto sarebbe dovuto  essere di merito ed invece si è trasformato  in una sorta di scontro ideologico, giocato mediaticamente su un presunto conflitto tra “vecchio e nuovo”, laddove, ovviamente, il “nuovo” consisteva nella caduta del monopolio legale; un dualismo schematico creato ad arte e orientato ad indurre a scelte che prescindono da una seria analisi di contesto. Certamente un’abile tecnica comunicativa di facile presa, che però ha evitato di affrontare nello specifico il nodo centrale, che non può essere altro che cercare la migliore forma di tutela da offrire ai “creativi”.
Peraltro non va mai dimenticato che si tratta di una “categoria” non riconosciuta e priva di qualsivoglia protezione sociale, che fonda le proprie aspettative di reddito esclusivamente sul riconoscimento economico del proprio ingegno. Si è invece bypassato, sia la valutazione della natura del “bene” da tutelare, pretendo di applicare al diritto d’autore le regole dei beni materiali, sia il contesto nazionale ed internazionale. L’oggetto centrale della direttiva, e cioè la regolamentazione relativa ad internet, deve necessariamente portare a prime considerazioni; di fronte ad un fenomeno rivoluzionario di globalizzazione che definitivamente travalica le frontiere, il l’ampiezza della dimensione è un aspetto particolarmente rilevante con la conseguente necessità di una adeguata capacità negoziale dei soggetti chiamati alla tutela dell’opera di ingegno. Oggi l’utilizzatore principale non è la balera di paese, ma soggetti mondiali come youtube, google, spotify, apple: rispetto a tali “giganti” per dimensioni e peso politico è onesto intellettualmente sostenere lo spacchettamento di realtà che già oggi appaiono inadeguate? È pensabile che piccole collecting possano confrontarsi utilmente con competitori globali di questa portata?  Una articolata analisi di contesto dovrebbe oggi indurre a ragionare sui presunti vantaggi del cosiddetto “pluralismo concorrenziale” e a riflettere sull’esigenza di aggregazioni piuttosto che di frazionamenti.

La dimensione è poi rilevante anche a livello nazionale. La creatività viene fruita con modalità differenti e in termini diffusi, e quindi occorre disporre di organizzazione idonea e capillare. In Italia il valore della raccolta del Diritto d’Autore si attesta inttorno ai 570 mln di euro, che generano profitti per le Società di gestione inferiori ai 100 mln di euro; risulta quindi velleitario, ovvero distorsivo della realtà, affermare che gli importi in gioco possano consentire la coesistenza di competitori in grado di garantire la raccolta del diritto d’autore, che per frammentarietà ed estensione ha bisogno di una rete articolata e complessa e di conseguenza costosa.  Il proliferare di collecting comporterebbe necessariamente l’affidamento da parte delle stesse ad un altro soggetto, per altro adeguatamente attrezzato, del mandato ad esigere, con una evidente duplicazione non solo di soggetti ma anche dei costi, che risulterebbero insopportabili per gli aventi diritto a meno che non si voglia sostenere che tali costi –attraverso la creazione di un soggetto pubblico- debbano essere compensati dall’erario statale, con relativo ed inaccettabile incremento della spesa pubblica.

A tal proposito è illuminante l’esperienza del diritto connesso, in quanto il moltiplicarsi dei soggetti abilitati ha recato danni gravi e irreparabili agli aventi diritto. Né va dimenticato che in tutti i Paesi a noi più vicini, dove per la verità non esiste il monopolio legale ma l’esercizio dell’attività è soggetto a severe autorizzazioni governative, si siano determinati e affermati monopoli di fatto. D’altronde non vi è dubbio che l’ordinamento europeo lasci spazio, sia pur delimitato, anche a forme di esclusiva; nello specifico basta citare l’articolo 36 del TFUE e la relativa consolidata giurisprudenza comunitaria, che pacificamente riconosce la deroga ai principi di concorrenza quando è motivata dalla di tutela di particolari beni e di interessi di valore generale. Al riguardo, è significativo che nell’ordinamento italiano l’opera di ingegno è valore costituzionalmente garantito. Per altro verso, la riflessione sul valore del diritto d’autore quale “bene comune” impone la necessità di una scelta legislativa che escluda esplicitamente il fine di lucro nell’attività di raccolta dei diritti.
È una regola alla quale si sono adeguate tutte le maggiori società di collecting.

Persino negli Stati Uniti, dove pure il profitto è considerato un “valore sociale”, ASCAP e BMI, che sono le maggiori PRO (performance right organization) escludono, per statuto, ogni fine di lucro. Per ultimo, ma certo non importanza, va esaminata adeguatamente la peculiarità italiana; infatti, solo nel nostro Paese, infatti, un’unica società di gestione si occupa ed amministra le diverse forme di creatività e cioè la musica, la letteratura, il teatro, il cinema e le arti figurative.
Una soluzione opportuna, considerato anche il crescente ruolo delle opere multimediali, nonché razionale in quanto offre un servizio di “sportello unico” per gli utilizzatori. Inoltre in tal modo si è offerta la possibilità alle arti povere, non certo per livello artistico ma per successo commerciale, di disporre di uno strumento organizzato e diffuso che consente a tutti di avere un’adeguata tutela, che non sarebbe stata possibile se, come avviene negli altri Paesi, si operasse con riferimento ad una specifica collecting. 

Conclusivamente, l’esercizio della delega, affidata dal Parlamento al Governo per il recepimento della direttiva Barnier, rappresenterà un passaggio di grande delicatezza, da affrontare con consapevolezza dei valori da tutelare e del contesto, senza cedere a strumentalizzazioni di sorta. Approssimazione e fretta potrebbero far replicare gli errori commessi con la liberalizzazione, avvenuta soli quattro anni addietro, dei diritti connessi, sulla quale sarà necessario tornare nel più breve possibile.
Soprattutto, appare auspicabile che il Governo prima di assumere qualsiasi determinazione in merito voglia ascoltare i rappresentanti delle categorie di coloro che quotidianamente sono alle prese con la gestione dei diritti derivanti dalle opere di ingegno.
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